Origini dell’antico mortaletto ligure
L’antico mortaletto ligure, una sorta di cinquecentesco cannoncino ad avancarica, assurge ad attualissimo e vivo richiamo all’archeologia del fuoco a festa, rapallese e non solo.
Estinto nella gran parte del mondo, resiste infatti al tempo (almeno, per quanto ad oggi sappiamo) nella sola zona di Rapallo, Recco e comuni limitrofi. Lo si trova in antiche stampe francesi (che per ora non possiamo ritrarre per ragioni di copyright) ed in alcune tradizioni orali italiane, legate all’ambiente dei fuochi: “I mortaletti furono importati dalla Sicilia, si dice, da un certo Signor Pescia, commerciante di cereali che trasportava a mezzo di velieri da Palermo a Rapallo grano, avena, fave, vino, agrumi ecc… …Questo signore portò anche in Parrocchia il culto di S. Rosalia e S. Lucia che nel XVII secolo furono proclamate compatrone dell’attuale basilica…”
Questo è quanto troviamo negli appunti del nostro coordinatore Comm. Antonio Scazzola, scomparso in veneranda età nel 1994. Una tesi molto interessante, soprattutto alla luce di quanto si tramanda presso altre scuole di tecnica del fuoco, venute in contatto con la nostra soltanto in epoca recentissima. Ci riferiamo alla tradizione orale di alcune storiche aziende pirotecniche, protagoniste ieri ed oggi dei fuochi rapallesi moderni: tradizione la quale, pur non conferendo piena validità alla tesi di Scazzola, ne conferma comunque una forte verosimiglianza. Abbiamo appunto notizia, da fuochisti del Centro e del Sud Italia, di sparate siciliane analoghe alle nostre, estintesi nell’Isola soltanto alcuni decenni or sono! Dunque il mortaletto, oggi ligure per definizione, fu quasi certamente, ieri, un prodotto noto anche fuori Regione: alcuni turisti lombardi, notando i nostri mortaletti, hanno riconosciuto in essi quei “botti” – in Lombardia ormai “degradati” a fermacarte – che un tempo venivano accesi e ricaricati dalle singole famiglie in occasione delle feste.
In effetti, un’interessante e locale teoria “extra pirotecnica” indica un’ampia universalità dell’antica conoscenza del mortaletto presso i popoli europei: non mancano ad esempio massari i quali, pur anche attraverso supposizioni confortate da semplici indizi storici, individuano nel protagonista della nostra pirotecnica tradizionale il frutto dell’evoluzione antica di peculiari parti di secentesche armi da fuoco… e tali armi erano, come si sa, ben conosciute quantomeno nel Vecchio Continente. Secondo questa teoria, il mortaletto nasceva per essere caricato prima della battaglia, predisposto com’era ad essere fissato ad una canna di colubrina o spingarda prive di culatta. L’artigliere d’una fortezza, in questo modo, poteva disporre di parecchie munizioni, scomode e pesanti se vogliamo, sicuramente non portatili, ma già pronte al fuoco. Confermerebbe l’ipotizzata genesi bellica del mortaletto il suo attuale ed antico sinonimo: mascolo. Mascolo, dal momento che il pezzo così inteso avrebbe costituito il cosiddetto “maschio” nell’accoppiamento meccanico “protomunizione” – canna. Troviamo in effetti disegni d’epoca ritraenti sparate, di mortaletti praticamente identici ai nostri, muniti tuttavia di piccole maniglie (oggi scomparse) e sagomature in questo senso “sospette”. Ovviamente, sopra la carica del “mortaletto bellico” avrebbe trovato posto una palla, o la mitraglia.
Superfluo sottolineare quanto i mortaletti da festa non siano costruttivamente predisposti a simili nefasti impieghi…! Il nostro breve excursus storico sulla genesi del mortaletto è qui concluso; teniamo dunque a ricordare e sottolineare che ogni indizio, pur aprendo interessantissime discussioni sulla base del probabile, non costituisce prova del vero storico: saremmo pertanto lieti ed onorati nel ricevere interessanti conferme o smentite da parte dei nostri lettori.
…nel remoto 1619, i mortaletti erano già conosciuti in Rapallo ed utilizzati nel culto “piro – popolare” della Madonna di Montallegro.
Un po’ di tecnica del massaro
Protagonista ludico – popolare delle Feste di Luglio, il mortaletto si presenta come un piccolo cannone antico, a canna cortissima, costruito e dimensionato per il solo utilizzo a salve. Antica è anche la sua carica: polvere nera, il primo esplosivo prodotto dall’uomo. Lo stesso che, più di quattrocento anni fa, armava le galee genovesi ed i temibili vascelli del pirata Dragut, flagello delle popolazioni costiere.
Per caricare il mortaletto ligure, si versa semplice polvere nera nella canna, quindi la s’intasa con materiale leggero ed inerte (ad esempio segatura) in modo da ottenere, all’accensione, un colpo a salve, “impreziosito” da spettacolari quanto innocue vampe e fumo denso, di sapore antico.
Proprio tutto s’ottiene dall’antico miscuglio di zolfo, salnitro e carbone, nell’antica arte dei massari: caricati i mortaletti, gli stessi si aguginano: s’innescano cioè versando nel foro d’accensione (agugino) polvere nera finissima. Disposti a terra, i mortaletti sono poi collegati da strisce, ancora della medesima polvere, granulare questa volta: strisce che bruciano più o meno lentamente a seconda della direzione dominante della brezza di mare… Ecco quindi l’abilità del massaro il quale, per intuito ed esperienza, sa quando, come e dove posizionare i mortaletti, grossi o piccoli, in modo da salutare con giusto ritmo la Santa Patrona.
Come in tutte le arti, infatti, solo pochi posseggono in armonioso connubio esperienza ed innato dono nel saper disporre al meglio la sparata, che per riuscir veramente gradita deve attagliarsi, secondo Tradizione, ad ogni singola tipologia d’evento celebrativo.. La pirotecnica antica tradizionale di Rapallo va oltre alle ben note celebrazioni dell’1,2,3 luglio, che danno il nome al presente sito.
Il mortaletto segna infatti il modus vivendi del rapallino verace (che non sempre coincide col rapallese), scandendone la vita pubblica e privata. Col mortaletto si cresce, ascoltando i colpi rituali dell’1,2,3 luglio o delle Feste Frazionali; si celebra il matrimonio di amici e parenti, preparando brevi ed allegre sparate; si saluta questo o quell’altro evento, sacro o profano; si dà l’estremo saluto ad un caro estinto disponendo un’austera sparata di 21 colpi, lenti e cadenzati: gli stessi ventuno che, con diverso spirito, ogni mattina di Novena accompagnano con sacralità l’Elevazione del Santissimo al Santuario di Montallegro.
La sparata è dunque… nel D.N.A. del rapallino, apprezzata com’è durante l’intero corso dell’anno ed, in particolare, nei Giorni Mariani dell’1,2,3 luglio: gli stessi giorni che vedono protagonisti delle celebrazioni “piro – popolari” rapallesi i rituali dei Saluti alla Madonna, dei Reciammi e del Panegirico, consolidatisi nell’ultimo secolo sulla base d’una tradizione sicuramente meno codificata dell’attuale, ma comunque perpetuata da quattro secoli quantomeno nei suoi aspetti, è il caso di dirlo, piro – tecnici. Infatti i gesti, tecnici appunto, che compiono oggi le abili mani dei massari sui ferruginosi mortaletti, nei greti dei torrenti e sulle spiagge, non differiscono dal fare dei nostri avi. Solo nei dove e nei come, la Tradizione d’oggi differisce da quella di ieri, ciò non inficiando tuttavia, a nostro parere, lo status di museo a cielo aperto di viva pirotecnica antica che amiamo attribuire alla nostra Città