I Rapallini
Già Agostino Molfino parla dei lumini galleggianti posti nello specchio acqueo, la cui invenzione è attribuita dal canonico Stefano Cuneo ad un anonimo sacerdote. Il metodo e gli ingredienti per la loro fabbricazione furono (e sono tutt’oggi) gelosamente custoditi e costituirono per gli spettatori un suggestivo mistero. Davide Bertolotti, autore nel 1834, di “Viaggio nella Liguria marittima” li descrive come “tuniche di cipolle o cortecce”; nel 1861 il Padre Antonio Bresciani, nel suo romanzo “Il Zuavo pontificio” afferma che si tratta di “vassoi, nicchi di mare o conchiglie piene d’olio”.
In realtà i lumetti rapallini sono confezionati a mano, ripiegando rettangoli di carta colorata, ripiegata a mo’ di barchetta, al cui interno è colato grasso fuso e cera che arde grazie ad uno stoppino, posto nel centro, che si accende al momento della posa in mare. Oggi la tradizione sopravvive grazie al merito di poche famiglie e di alcuni appassionati, che le hanno affiancate. Per i festeggiamenti del 1939, secondo centenario della proclamazione della Madonna a Patrona del Capitaneato rapallese, furono posti in mare ben settemila lumetti.